
“Ti suono le mie dita per mano sola” è autenticamente, drammaticamente un libro di poesia. Autenticamente perché, lo capirà il Lettore leggendo, ogni singola lettera è motivata da una necessità espressiva che è un moto dell’anima. Drammaticamente perché la poesia è tutta lì, con la sua immensa potenza che, in qualsiasi momento, può vacillare e perdersi in un vuoto di senso.
Di più: questa opera poetica si offre nella sua nudità, proiettata in copertina con un’immagine che quasi non ha e non dà riparo e con assoluta bellezza – ma anche con altrettanto assoluta fragilità – si manifesta agli occhi di chi può vedere. La reazione allo stimolo di questa arte denudata è di protezione, di accordo tacito per il mantenimento del segreto, di occultamento all’interno di un cassetto privilegiato. L’immagine iconica ben si accorda con il contenuto del testo, che conferma questa intimità nella rivelazione di un segreto. Non a caso un’altra silloge della stessa Poetessa ha per titolo “Sono donna che non c’è”.
Sarebbe un errore volgere tutto in una psicologizzante interpretazione al femminile. Anche dove la poesia si fa filastrocca, sullo sfondo sono sempre immensi archetipi, che collocano questi versi come in un interludio tra gli emblemi della Cabala Denudata e la manifestazione femminile trascendente della Shekinah. Ovunque e in nessun luogo. Il posto della poesia.
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