Una recensione alla silloge poetica di Suzana Glavaš dovrebbe riconoscere dapprima la struttura del verso, che è in prevalenza spezzato, franto, tanto da far pensare al Porto Sepolto, dove i versi si disintegrano al punto da lasciar per ogni riga tre, due parole, addirittura una semplice congiunzione, meglio se avversativa o.
Un tentativo di interpretazione psicologizzante andrebbe sùbito in cerca delle ragioni che hanno condotto l’anima lieve di questa donna a destrutturarsi, a deflagrare come accade alle sue parole. Contro questa antitetica scorciatoia si staglia immediatamente una composizione che assume il compito di disinnescare ogni didascalia, e dice:
Non chiederti perché
non pensare a come
è sempre un’eco
che spiega
cose nuove
In questo modo, senza dire, è apparsa la spiegazione dell’inspiegabile, che può avvenire soltanto attraverso e per la rinuncia al voler tutto comprendere con la mente e finalmente disporsi ad aprire la porta del cuore.
Resta l’enigma dell’assenza in cui ci si può trovare, leggendosi nell’anima.
Suzana Glavaš Sono donna che non c’è Aracne 2013
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