A Piazza della Morte, Viterbo, là dove si accede per visitare i corridoi sottorranei della città: è qui che ho incontrato Pier Isa della Rupe, per la presentazione del suo libro “Streghe”.
Con l’introduzione di Caterina Luisa De Caro, come sempre impegnata in un percorso di promozione di idee che conducono a percorsi di coscienza sociale e civile attraverso la letteratura, le arti e la conoscenza della storia, ci introduciamo ad un percorso di narrazione che trova nel contesto di questa cripta sotterranea un’ambientazione perfetta: e non perché tetra, tanto meno perché sulfurea o sepolcrale. Non c’è da aver paura delle streghe narrate da Pier Isa della Rupe: se mai, c’è da aver rispetto, un rispetto che trova le sue radici in un’altra idea del femminile, spiritualizzata nella dimensione concreta e fantastica delle Figlie della Luna.
Questo romanzo possiede diversi livelli di lettura. In superficie, è costituito da una serie di favole, di racconti fantastici dove la realtà si immerge nel sogno per esserne fatalmente trasformata, dovendo riconoscere la superiorità dell’immaginazione sulla realtà: perché il compito dell’immaginazione è di trasformare la nostra realtà e, se forse il sogno non può trasformare la relatà di tutti, di certo può trasformare la realtà di coloro che lo vogliono.
Il tono della narrazione è consustanziale alla natura delle vicende narrate. E se quando la si ascolta parlare, Pier Isa stupisce per il suo naturale talento di parlare con tono lieve, dosando le pause come in una partitura musicale, creando un incantesimo sonoro ancor prima di averci stordito con le sue immagini di sogno, quando ne inseguiamo la parola scritta troviamo un lessico che si aggrappa alle radici degli alberi del bosco, nelle spore del nocchio, nei pistilli di ogni fiore, che prende sapore di legno e di mela, l’odore forte dell’erica, delle felci e della terra bagnata, dove si può sentie il belare delle greggi, il frinire delle cicale e in lontananza vedere i contorni di Pale, la dea dei pastori.
Se in superficie il racconto appare una fiaba, ad un secondo livello si manifesta come un trattato di antropologia, una ricerca strenua, condotta come in preda a una sete inestinguibile, un insopprimibile desiderio di saper tutto della memoria, vera e immaginaria, che si lega al racconto tramandato degli anziani sapienti di questi luoghi, cui Pier Isa, attraverso lo studio delle fonti o semplici frammenti di testimonianze, ricostruisce per restituire a noi tutti l’essenza e lo spirito dei luoghi. Così Elfi, Sirene, Ondine, Coboldi e ogni genere di Spirito si avvicina a noi per introdurci ai segreti dei monti Cimini.
La poesia in prosa con cui il racconto si scioglie nella mente, spesso prendendo la sensazione di un caleidoscopio lisergico dove una visione apre in successione a un’altra come in una corsa di frattali, la realtà del tempo fenomenico evapora quasi del tutto, e il paesaggio può rapidamente assumere le forme che questi luoghi potevano avere nel Cretaceo, con la manifestazione di fuoco degli antichi vulcani che animavano i Cimini, per poi ritornare agli inizi del secolo scorso, dove la maggior parte dei personaggi di questo catalogo antropologico si muove e vive le sue storie, ma senza mai rimaner prigioniero di uno spazio e un tempo dato: perché le apparizioni non sono riducibile alle forme sensibili dei fenomeni, e sempre è possibile in queste pagine che le barriere siano oltrepassate, sia quando si tratta di un collegamento sotterraneo con un altro luogo del mondo, sia quando il cielo si manifesta nel suo essere parte del viaggio, e la legge universale dell’Amore unico motore.
L’Amore universale resta il motore di tutto malgrado la cattiveria insita nel cuore dell’uomo: e quando nel cuore del libro ci imbattiamo nella ricostruzione che Pier Isa fa delle vicende della prima donna di cui la storia ci dà testimonianza del suo esser bruciata come strega, nel 1347, anche qui non si tratta di una maledizione, ma della sublimazione di tutto quel che non è stato compreso, che non è stato accolto, che è stato messo da parte e distrutto, perché troppo ricco d’amore e di fantasia. Le streghe e le fate non sono creature diverse: perché la legge dell’Amore è universale, come i racconti di Pier Isa sono storie d’amore e di ricerca, eterna favola dell’anima, a ricordarci che l’amore non può essere negato, umiliato, nascosto. Per questo siamo destinati a ritrovarci.
[Davide C. Crimi]
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